LE LEGGE SULLE UNIONI CIVILI
Il disegno di legge è stato approvato definitivamente in data 11 maggio dalla Camera dei deputati. In particolare il testo approvato riproduce per intero il testo licenziato dal Senato il 25 febbraio 2016, che a sua volta, recepisce in larga parte il contenuto dell'A.S. 2081 di iniziativa dei senatori Cirinna' e altri.
Il disegno di legge è stato approvato definitivamente in data 11 maggio dalla Camera dei deputati. In particolare il testo approvato riproduce per intero il testo licenziato dal Senato il 25 febbraio 2016, che a sua volta, recepisce in larga parte il contenuto dell'A.S. 2081 di iniziativa dei senatori Cirinna' e altri.
La legge approvata colma un vuoto
normativo in materia di disciplina delle convivenze tra persone dello stesso
sesso, rispetto al quale si sono succedute nel tempo diverse pronunce delle
Corti nazionali ed europee che hanno ripetutamente censurato il legislatore. L'approvazione
del provvedimento è divenuta indifferibile a seguito della sentenza dello
scorso 21 luglio 2015 della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo
che, nell'ambito del caso «Oliari ed
altri contro Italia», ha condannato il nostro Paese per la violazione
dell'articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti Umani.
1. La giurisprudenza
della Corte europea dei diritti dell'uomo in tema di riconoscimento delle
coppie dello stesso sesso.
Le Corti italiane ed europee sono, da anni, destinatarie di una
richiesta di riconoscimento formale da parte di coppie dello stesso sesso, alla
luce delle tutele apprestate dall'articolo 8 della Convenzione EDU (Diritto al rispetto della vita privata e familiare).
I cd. “claims for
recognition” trovano fondamento nel paradigma dell’uguaglianza e della
dignità umana, rispetto al quale il diritto comunitario si è mosso in maniera
inclusiva, ampliando il concetto di universalità dei diritti fondamentali di
cui all'articolo 14, (Divieto di discriminazione Carta dei diritti fondamentali
dell’UE)[1].
Come le recenti pronunce della Corte di Strasburgo testimoniano, il dibattito in materia di
riconoscimento e tutela delle coppie dello stesso sesso si è costantemente
aggiornato e sviluppato a più livelli di giurisdizione.
In tale contesto, la prima pronuncia in cui la Corte europea dei
diritti dell'uomo si è espressa in termini non ostativi rispetto al
riconoscimento della condizione giuridica delle coppie dello stesso sesso è
stata la pronuncia resa sul caso Schalk et Kopf c. Austria deciso il
24 giugno 2010 (n. ric. 30141/04).
Il caso traeva origine dal
ricorso presentato da una coppia di cittadini austriaci dello stesso sesso, che
lamentava la violazione dell'articolo 8 della CEDU in combinato disposto con
gli articoli 14 e 12 (Diritto al matrimonio) a fronte dell'impossibilità per la
coppia di contrarre matrimonio nel loro paese di origine.
La Corte, pur negando le
violazioni lamentate dai ricorrenti, a fronte delle sopravvenute evoluzioni dei
contesti sociali dei diversi Paesi europei, riconosce alle coppie dello stesso
sesso il diritto a godere, oltre che del rispetto della vita privata, del
rispetto della vita familiare ex articolo 8 della CEDU.
Pertanto, la Corte europea dei
diritti dell'uomo, dopo aver ripercorso la sua giurisprudenza pregressa, per la
prima volta stabilisce che la relazione affettiva, stabilmente costituita tra
persone dello stesso sesso, rientri
nella sfera della "vita familiare" al pari di una convivenza tra uomo
e donna, ma rimettendo ogni decisione in merito al riconoscimento giuridico e
alle forme di tutela alla discrezionalità degli Stati contraenti.
Successivamente, con la
pronuncia, Vallianatos e altri c. Grecia (ric. N.
29381/09 e n. 32684/09),
del 7 novembre 2013, la Grande Chambre della Corte EDU ha
giudicato in contrasto con gli articoli 14 e 8 della Convenzione EDU la
normativa, introdotta in Grecia con legge n. 3719/2008 denominata “Riforme
concernenti la famiglia, i figli e la società”, istitutiva della possibilità di
contrarre unioni civili, riservandola, tuttavia esclusivamente a persone di
sesso diverso.
In merito alla giurisprudenza
comunitaria, occorre menzionare la già citata pronuncia della Corte di
Strasburgo, che il 21 luglio 2015, nell'ambito del caso Oliari e altri c. Italia (ric. nn. 18766/11 e 36030/11), ha
condannato il nostro Paese per la violazione dell'articolo 8 della Convenzione
europea dei diritti umani.
Nella pronuncia la Corte ha
sottolineato come la necessità di ricorrere ripetutamente alle Corti nazionali
per invocare l'eguaglianza di trattamento rispetto a ciascuno dei molteplici
aspetti che interessano i diritti e i doveri tra i membri di una coppia,
specialmente in un sistema giudiziario sovraccarico come quello italiano, si
riveli già un ostacolo non insignificante rispetto agli sforzi dei ricorrenti
di ottenere il rispetto della loro vita privata e familiare. (cfr. § 171). Ne
consegue, pertanto, che la tutela attualmente disponibile non soltanto appare
carente di contenuto, in quanto omette di provvedere per le necessità basilari
che sono rilevanti per una coppia in una relazione solida e duratura, ma è
anche non sufficientemente stabile, stante la dipendenza della predetta tutela,
dall'atteggiamento del giudice o talvolta dell’autorità amministrativa nel
contesto di un Paese che non è vincolato dal sistema del precedente
giudiziario (cfr. § 172). In aggiunta a
quanto sopra, la Corte sottolinea la tendenza al riconoscimento giuridico delle
coppie omosessuali che ha continuato a svilupparsi rapidamente in Europa dal
giudizio della Corte Schalk and Kopf. Infatti, attualmente una maggioranza degli Stati del consiglio
d'Europa (24 su 47) ha legiferato in favore di tale riconoscimento e della
relativa tutela. Lo stesso rapido sviluppo può essere notato su scala globale
con particolare riferimento ai paesi nelle Americhe e dell'Australasia[2]:
una tendenza
continuativa verso il
riconoscimento giuridico su scala internazionale, alla quale la Corte di
Strasburgo non può che attribuire importanza (cfr. § 178).
Infine, dopo aver ricordato come
le diverse pronunce in merito delle Corti nazionali siano rimaste inascoltate,
ha concluso condannando l'Italia, poiché il Governo italiano ha ecceduto il suo
margine di apprezzamento ed ha mancato di adempiere il suo obbligo positivo di
assicurare che i ricorrenti avessero a disposizione un quadro giuridico che
prevedesse la tutela e il riconoscimento della loro unione (cfr. § 185).
A quanto detto, si aggiunga anche
la recente posizione espressa dal Parlamento europeo nella Risoluzione del 12
marzo 2016 sulla relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo
nel 2013 e sulla politica dell'Unione europea in materia (2014/2216(INI)), in
cui al punto 162 si «prende atto della
legalizzazione del matrimonio o delle unioni civili tra persone dello stesso sesso
in un numero crescente di Paesi nel mondo» e si incoraggiano «le istituzioni e gli Stati membri dell'UE a
contribuire ulteriormente alla riflessione sul riconoscimento del matrimonio o
delle unioni civili tra persone dello stesso sesso in quanto questione
politica, sociale e di diritti umani e civili».
2. La giurisprudenza delle Corti nazionali
Con la nota sentenza n.
138 del 2010 la Corte
Costituzionale ha affermato che, in assenza di diversi riferimenti normativi, è
inevitabile concludere che i costituenti tennero presente, elaborando
l'articolo 29, la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in
vigore nel 1942, che stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero
essere persone di sesso diverso, nonché l'impossibilità per il giudice delle
leggi di superare il significato del precetto costituzionale per via
ermeneutica, poiché non si tratterebbe di una semplice rilettura del sistema o
di abbandonare una mera prassi interpretativa, bensì di procedere ad
un'interpretazione creativa.
Tuttavia, la Corte pur non
estendendo il diritto al matrimonio alle coppie formate da persone dello stesso
sesso, dopo aver ricordato che
l'articolo 2 della Costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili
dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale, afferma che "per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice
o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona
nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello
pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l'unione omosessuale,
intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta
il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia,
ottenendone - nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge - il
riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri."
Successivamente, a pronunciarsi in materia, con la sentenza 15
marzo 2012, Sez.I, n. 4184, è la Suprema Corte di Cassazione che
sebbene intervenuta, su una questione altamente specifica e apparentemente circoscritta, ossia la
trascrivibilità di un atto di matrimonio contratto all’estero tra cittadini italiani
dello stesso sesso, ha investito ulteriori profili, affrontando in modo
approfondito, il tema, di carattere più generale, del fenomeno della stabile
convivenza tra persone dello stesso sesso ed il suo riconoscimento
giuridico. I giudici della Suprema
Corte, dopo aver chiarito che: "l’intrascrivibilità
di tale atto dipende non già dalla sua contrarietà all’ordine pubblico, (...)
ma dalla previa e più radicale ragione, riscontrabile anche dall’ufficiale
dello stato civile in forza delle attribuzioni conferitegli della sua non
riconoscibilità come atto di matrimonio nell’ordinamento giuridico italiano"
(cfr., n. 2.2.3), hanno sostenuto che: " I componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di
fatto, se - secondo la legislazione italiana - non possono far valere né il diritto
a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto
all’estero, tuttavia - a prescindere dall’intervento del legislatore in materia
-, quali titolari del diritto alla “vita familiare” e nell’esercizio del
diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del
diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, segnatamente alla
tutela di altri diritti fondamentali, possono adire i giudici comuni per far
valere, in presenza appunto di “specifiche situazioni”, il diritto ad un
trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata e,
in tale sede, eventualmente sollevare le conferenti eccezioni di illegittimità
costituzionale delle disposizioni delle leggi vigenti, applicabili nelle
singole fattispecie, in quanto ovvero nella parte in cui non assicurino detto
trattamento, per assunta violazione delle pertinenti norme costituzionali e/o
del principio di ragionevolezza" (cfr., n. 4.2)
.
La Corte Costituzionale è
nuovamente intervenuta con la recente sentenza n. 170 del 2014, dichiarando l’illegittimità costituzionale degli articoli
2 e 4 della legge 14 aprile 1982, n. 164 recante "Norme in materia di
rettificazione di attribuzione di sesso", nella parte in cui non prevedono
che la sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso di uno dei
coniugi, che provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli
effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio, consenta,
comunque, ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di
coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che
tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le
modalità da statuirsi dal legislatore. Con la predetta pronuncia il giudice delle leggi, dopo aver richiamato
la precedente sentenza 138 del 2010, ha ribadito come sia "quindi, compito
del legislatore introdurre una forma alternativa (e diversa dal matrimonio) che
consenta ai due coniugi di evitare il passaggio da uno stato di massima
protezione giuridica ad una condizione, su tal piano, di assoluta
indeterminatezza. E tal compito il legislatore è chiamato ad assolvere con la
massima sollecitudine per superare la rilevata condizione di illegittimità
della disciplina in esame per il profilo dell’attuale deficit di tutela dei
diritti dei soggetti in essa coinvolti."
3. Il testo approvato definitivamente
Il testo approvato si compone di
un articolo unico che detta due distinte discipline:
la prima (commi da 1 a 35) regolamenta
le unioni civili tra persone dello stesso sesso;
la seconda, invece, (commi da 36
a 65) introduce una normativa sulle convivenze di fatto, che può riguardare sia
coppie dello stesso sesso che eterosessuali.
Infine, le
ultime disposizioni (commi da 66 a 69) riguardano la copertura finanziaria del
provvedimento.
REGOLAMENTAZIONE
DELLE UNIONI CIVILI TRA PERSONE DELLO STESSO SESSO
Sono
disposte:
•
l'istituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso
qualificandola quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3
della Costituzione, recependo così le indicazioni della sentenza della Corte
Costituzionale n. 138 del 2010;
• l'individuazione delle seguenti cause
impeditive per la costituzione della stessa:
-
la
sussistenza di un vincolo matrimoniale o di un’unione civile tra persone dello
stesso sesso;
-
l'interdizione
per infermità di mente;
-
la
sussistenza di rapporti di affinità o parentela;
- la condanna definitiva di un contraente per
omicidio consumato o tentato nei
confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l'altra parte;
• la
possibilità per le parti dell'unione civile di assumere, per la durata dell'unione,
un cognome comune;
•
l'assunzione, con la costituzione dell'unione civile tra persone dello
stesso sesso, di una serie di diritti e
doveri quali, l'obbligo reciproco all'assistenza morale e materiale e alla
coabitazione, alla contribuzione, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e
alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, ai bisogni comuni;
• la costituzione, in mancanza di diversa
convenzione patrimoniale, del regime patrimoniale della comunione dei beni;
Inoltre, con
la costituzione dell'unione civile le
parti assumono ulteriori diritti quali:
diritti patrimoniali, diritti in materia di successione come la
legittima, diritto al mantenimento ed agli alimenti in caso di scioglimento
dell'unione civile, diritto alla pensione di reversibilità, diritto al
ricongiungimento familiare e alla cittadinanza italiana per lo straniero unito
civilmente, diritti in materia di trattamenti pensionistici, assicurativi e
previdenziali, diritto a tutte le prerogative in materia di lavoro.
Le parti dell'unione civile hanno, inoltre, diritto di ricevere
informazioni sullo stato di salute dell'altra parte, di decisione in caso di incapacità, nonché in caso di
decesso sulla donazione di organi, sul
trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie.
Alle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso sono,
altresì, riconosciuti diritti relativi agli assegni familiari a tutte le
disposizioni fiscali, alla disciplina sui carichi di famiglia, alle imposte di
successione e donazione, all’impresa familiare, alle numerose norme del codice
civile in materia di contratti, prescrizione ed altro, alle graduatorie per
l’assegnazione degli alloggi popolari, ai punteggi per i concorsi e i
trasferimenti, al trattamento dei dati personali, all’amministrazione di
sostegno ed alla legge 5 febbraio 1992, n. 104 e, infine, ai diritti in materia
penitenziaria.
E' disposto,
inoltre, che, fatte salve le disposizioni del codice civile non richiamate
espressamente e fatta salva la disposizione di cui alla legge 4 maggio 1983, n.
184, le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi», «marito» e
«moglie», ovunque ricorrano nelle leggi, nei decreti e nei regolamenti, si
applicano anche alla parte della unione civile tra persone dello stesso sesso.
Resta fermo, però, quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle
norme vigenti.
L'unione civile si scioglie
con la manifestazione di volontà delle parti, anche disgiunta, dinanzi
all'ufficiale dello stato civile. In tal caso la domanda di scioglimento
dell'unione civile è proposta decorsi tre mesi dalla data di manifestazione di
volontà di scioglimento dell'unione.
In caso di rettificazione
anagrafica di sesso, qualora i coniugi abbiano manifestato la volontà di non
sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue
l'automatica instaurazione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso.
Il Governo è delegato ad adottare, su
proposta del Ministro della giustizia,
entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno
o più decreti legislativi in materia di unione civile fra persone dello stesso
sesso nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) adeguamento
alle disposizioni del testo in oggetto delle disposizioni dell'ordinamento in
matteria di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni;
b) modifica
e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo
l'applicazione della disciplina in materia di unione civile alle coppie di
persone dello stesso sesso che abbiano contratto matrimonio all'estero;
c) modificazioni
e integrazioni normative al fine di coordinare le disposizioni contenute in
leggi, atti aventi forza di legge, regolamenti e decreti con le disposizioni in
materia di unione civile tra persone dello stesso sesso.
L'adozione
Al riguardo si
evidenzia che finora nel riconoscere l'adozione del figlio del partner
all'interno di una coppia dello stesso sesso, la giurisprudenza di merito si è
mossa nel solco della lettera d), del comma 1, dell'articolo 44, della legge 4
maggio 1983, n. 184 in materia di adozione in casi particolari, consentita
anche a chi non è coniugato, ritenendo che, qualora il minore abbia già un
genitore, non possa configurarsi lo stato di abbandono e il conseguente
affidamento preadottivo. Il testo presentato al Senato,
intendeva introdurre il riconoscimento dell'adozione ai sensi della lettera b),
ovvero l'adozione coparentale (cd. stepchild), equiparando così la coppia
omosessuale unita civilmente a quella eterosessuale coniugata.
Con l'intervento apportato dal maxiemendamento
presentato dal Governo al Senato, l'adozione coparentale ai sensi della lettera
b) è stata esclusa, diversamente da quella ai sensi della lettera d) ove,
invece, non ricorre la parola coniuge.
A conferma
di quanto esposto, si segnala che, continuando a muoversi nel solco della
lettera d) del predetto articolo 44, recentemente il Tribunale per i minorenni
di Roma ha concesso l'adozione del figlio del partner ad una coppia di uomini.
La sentenza, che si inserisce nell’indirizzo ormai consolidato del tribunale
capitolino (confermato anche dalla Corte d’appello di Roma e richiamato in
forma adesiva anche dalla Corte d’appello di Milano), ha particolare rilievo,
poiché per la prima volta non è stata impugnata dalla Procura competente ed è, pertanto,
divenuta definitiva, producendo l’effetto
costitutivo della creazione di una doppia genitorialità di due persone dello
stesso sesso. Alla predetta sentenza ne sono seguite altre, del Tribunale dei
minorenni di Roma e Napoli aventi ad oggetto l'adozione incrociata dei figli di
coppie di donne.
DISCIPLINA DELLE CONVIVENZE
Il testo approvato,
inoltre, dispone in materia di disciplina delle convivenze di fatto, chiarendo
che, per "conviventi di fatto" si intendono due persone maggiorenni
unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza
morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione,
da matrimonio o da un'unione civile, prevedendo, inoltre, che, a seguito della
convivenza di fatto, scaturisca una serie di diritti alcuni dei quali in
proporzione alla durata della convivenza, in gran parte già riconosciuti
dall'attuale giurisprudenza di merito.
In particolare:
• i conviventi di fatto hanno gli stessi
diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall'ordinamento
penitenziario;
• in caso di malattia o di ricovero, i
conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonché di
accesso alle informazioni personali;
• ciascun convivente di fatto può designare
l'altro quale suo rappresentante in caso di malattia che comporti incapacità di intendere e di
volere, per le decisioni in materia di salute, ovvero in caso di morte, per
quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e
le celebrazioni funerarie;
• in caso di morte del proprietario della casa
di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare
ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se
superiore e comunque non oltre i cinque anni. Qualora il convivente superstite
abbia figli minori o figli disabili ha il diritto di continuare ad abitare
nella casa del convivente deceduto per un periodo non inferiore a tre anni;
• nel caso in cui uno dei conviventi di fatto
sia conduttore del contratto di locazione della casa di comune residenza, in
caso di morte del medesimo o di recesso dal contratto, l'altro convivente ha
facoltà di succedergli nel contratto;
• i conviventi di fatto possono accedere alle
graduatorie per l'assegnazione di alloggi di edilizia popolare in condizione di
parità;
• qualora un convivente presti stabilmente la
propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente ha diritto ad una partecipazione agli utili
della stessa;
• i conviventi di fatto possono essere
rispettivamente designati quale tutore o curatore dell'altro convivente;
• in caso di decesso del convivente di fatto,
derivante da fatto illecito di un terzo, il convivente superstite viene
risarcito alla stregua del coniuge;
• in caso di cessazione della convivenza di
fatto il giudice stabilisce per il convivente di fatto economicamente più
debole il diritto a ricevere gli alimenti, qualora versi in stato di bisogno e
non sia in grado di provvedere al proprio bisogno. In tali casi l'obbligo
alimentare è adempiuto con precedenza rispetto ai fratelli e alle sorelle del
convivente in stato di bisogno.
Infine, i conviventi di
fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in
comune con un contratto di convivenza
redatto da un notaio o un avvocato. Tale contratto può prevedere:
a) l'indicazione
della residenza;
b) le
modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione
alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo;
c) il
regime patrimoniale della comunione dei beni.
[1] In sede di Consiglio d’Europa (CdE) l'attenzione alle
discriminazioni in base all’orientamento sessuale cominciò ad emergere già nel
1981. In quell’anno, con la Risoluzione 75611, il CdE invitò l’Organizzazione
Mondiale della Sanità a rimuovere l’omosessualità dalla lista delle malattie
riconosciute. Nello stesso anno, il CdE approvò anche la Raccomandazione 92412
in cui richiedeva agli Stati di abolire tutte le norme penali aventi ad oggetto
l’attività sessuale di tipo omosessuale.
[2] Nel giugno del 2015 la
Corte Suprema degli Stati Uniti, con la sentenza Obergefell v. Hodges, ha
affermato che gli Stati non hanno, in base al XIV Emendamento della
Costituzione degli Stati Uniti, né il diritto di negare licenze di matrimonio
alle coppie dello stesso sesso, né quello di vietare, in base alla § 2 del
Defense of Marriage Act, il riconoscimento dei matrimoni “legalmente
autorizzati e contratti” in altri stati dell’Unione. La sentenza apre,
pertanto, al riconoscimento del diritto al matrimonio tra persone dello stesso
sesso in tutti gli Stati dell’Unione. Prima della decisione, infatti, il
diritto delle coppie omosessuali di unirsi in matrimonio era riconosciuto in 36
dei 50 Stati.